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Fasce orarie di reperibilità per i lavoratori infortunati

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Novembre 18, 2009

Una situazione paradossale
Sui controlli per le assenze determinate da infortunio o malattia da lavoro dei lavoratori dipendenti sono state segnalate molte situazioni in cui le aziende applicano le sanzioni disciplinari se il lavoratore non viene trovato a casa durante le fasce orarie di reperibilità. In questo caso l’eventuale penale prevista nel contratto di lavoro potrà riguardare solo ed esclusivamente la parte economica di competenza del datore di lavoro e non intaccherà in alcun modo l’indennità economica INAIL. Se invece nel contratto non è prevista alcuna clausola, l’eventuale provvedimento disciplinare può essere impugnato.
Riguardo ai controlli riguardanti le assenze dal lavoro vi è una giurisprudenza purtroppo non uniforme, infatti alcune sentenze della Cassazione (5414/1998, 1452/1999, 1247/2002) avevano espressamente affermato che “diversamente dal dipendente assente per malattia, il lavoratore non presente sul lavoro a causa di un infortunio non ha l’obbligo di rispettare le fasce orarie previste per le di visite di controllo medico”.
La Suprema Corte aveva infatti  giustamente osservato che i controlli sullo stato di malattia del lavoratore infortunato dovevano interpretarsi come una clausola restrittiva che incideva sul diritto del lavoratore, quale cittadino a cui veniva impedita la libertà di movimento sul territorio dello Stato e quindi gli accertamenti si dovevano applicare solo  relativamente alle malattie ordinarie.
Più tardi però nel 2002 una nuova sentenza della Cassazione la n. 15773  dichiarava “…legittimi i provvedimenti disciplinari comminati ad un lavoratore assente per infortunio sul lavoro, risultato irreperibile alle visite di controllo, disposte dal datore di lavoro…” e proseguiva “…non c’è dubbio che nell’attuale coscienza generale è inscritto, con il dovere a tutti di lavorare e con il biasimo per ingiustificate assenze del lavoratore che pretestuosamente lamenti qualche infermità, anche il suo dovere di offrire una leale disponibilità per il relativo accertamento”.
Per l’INCA le motivazioni addotte da quest’ultima sentenza non sono condivisibili perché giustificano un atto illegittimo che non tiene conto della diversità del concetto di inabilità per malattia e per infortunio in virtù della quale la normativa in materia di controlli differisce totalmente.
Il Testo Unico 1124/65 definisce infatti l’infortunio come un evento “…da cui derivi una inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni…” mentre l’assenza per malattia è riferita ad una generica “incapacità temporanea al lavoro”.
Le distinzioni in questo caso sono palesi. L’inabilità assoluta è una condizione che implica uno status diverso rispetto all’incapacità lavorativa tanto è vero che è diverso anche lo stesso Ente preposto ad accertarne l’indennizzabilità e la durata (l’INAIL). Nel caso della malattia generica  infatti essa viene certificata dal medico di famiglia (Servizio Sanitario nazionale) e successivamente indennizzata dall’INPS.
Ma ancor più paradossale è, a nostro avviso, la situazione del lavoratore che “si deve rendere disponibile per l’accertamento del suo stato di salute”, accettando inutili controlli da parte del datore di lavoro ovvero di colui che, nella maggior parte dei casi, ne ha determinato, con comportamenti omissivi e/o negligenti, l’infortunio stesso.

INCA CGIL

Argomenti: INCA, infortuni, malattia, patronato, sicurezza |