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Crisi: Camusso, l’anno peggiore sarà il prossimo

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Novembre 10, 2011

Crisi: Camusso, l’anno peggiore sarà il prossimo
La leader della CGIL in una intervista al settimanale ‘Famiglia Cristiana’ esprime timore per il 2012: “la situazione sarà più grave soprattutto per i giovani. Sì a un patto tra generazioni, ma senza togliere diritti ai padri per darli ai loro figli”
10/11/2011 da www.cgil.it

Susanna Camusso festeggia un anno alla guida della CGIL (il 3 novembre del 2010 sostituiva Guglielmo Epifani, diventando la prima donna a raggiungere il vertice della confederazione) e snocciola le date degli eventi che hanno segnato la sua esperienza. «Due scioperi generali, le manifestazioni delle categorie, la stagione della ripartenza dei movimenti. La grande giornata delle donne il 13 febbraio, il grande raduno dei giovani “Il nostro tempo è adesso” il 9 aprile. É stato un anno movimentato. Un anno vissuto molto intensamente. Per il nostro Paese anche molto pericolosamente. Un anno in cui abbiamo continuato a resistere rispetto a politiche del Governo che giudicavamo sbagliate. In questo il 2011 non è l’anno peggiore. Noi siamo motto preoccupati soprattutto per l’anno prossimo».

E’ stato un anno in trincea?
«Non è stato soltanto un anno in trincea. E’ stato, ad esempio, l’anno dell’accordo con Confindustria sulla contrattazione. Direi che è stato un anno con tante facce. Un anno in cui sul piano delle politiche di Governo è continuato e si è anche progressivamente accentuato un attacco al lavoro, con la proposta di cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Si sono segnalati i soliti noti e sono stati difesi gli interessi di pochi. Il Paese si stava rassegnando. Rassegnando all’impoverimento, all’immutabilità del quadro politico, all’individualismo e all’egoismo sociale. Invece c’è stata un’inversione di tendenza. Hanno finalmente cominciato a prendere voce soggetti collettivi che si sono ritrovati e sono riusciti a rimettersi insieme».

Con CISL e UIL oggi sono più le ragioni che vi uniscono o quelle che vi dividono?
«lo credo che ci unisca una convinzione molto importante: la convinzione che la politica del Governo non ci tira fuori dalla crisi. Se la proposta è quella di discutere sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, allora non se ne parla neanche. Non è con i licenziamenti che si crea lavoro. Iniziato all’insegna della prosecuzione della rottura sindacale, l’anno potrebbe terminare con l’unità. Potrebbe, perché tre anni di divisione pesante sono effettivamente tanti. Le strategie si sono differenziate. Perché poi, ricordiamocelo, il 2011 è anche l’anno degli accordi separati della FIAT. L’anno si apre con quello di Pomigliano, seguito dal referendum a Mirafiori».

Cosa vi divide attualmente?
«Ci dividono le ricette per uscire dalla crisi, anche se sento parlare dal Segretario della CISL Raffaele Bonanni di patrimoniale e questo mi fa piacere. Prima non lo aveva mai detto. Ci divide il giudizio sugli accordi alla FIAT. Però siamo passati decisamente a una nuova stagione, una stagione in cui tutti insieme diciamo: quella ricetta lì non ci porta fuori dalla crisi. E non porta sviluppo. Perché, poi, uno dei vantaggi che il Governo ha avuto è stata proprio la divisione del sindacato. Che ha usato ampiamente».

L’uscita della FIAT da Confindustria cosa significa secondo lei?
«lo penso che la FIAT sia uscita da Confindustria perché il Lingotto rifiuta le regole e la mediazione collettiva. Perché tutto nasce dall’idea della FIAT di non applicare più il Contratto nazionale di lavoro. Se tu rifiuti quel ruolo, diventa difficile immaginare in che rapporto stai con Confindustria».

Il Governo Berlusconi vi accusa di ragionare con schemi ottocenteschi, ideologici, che guardano all’azienda come a una controparte conflittuale, secondo i vecchi schemi della lotta di classe…
«E vero, il Governo ha fatto tutto ciò».

Ma a volte non è meglio trovare una mediazione che andare in piazza, per salvare il lavoro e le fabbriche?
«Guardi, in questo periodo mi viene sempre più spesso in mente un ministro del Lavoro come Carlo Donat-Cattin, con cui noi abbiamo litigato molto. Non era un ministro che dava ragione. Ma non gli sarebbe mai passata in testa l’idea che la sua funzione era quella di dividere il sindacato. Non avrebbe mai gioito di un accordo separato o di un contratto separato».

La critica che viene fatta alla CGIL è che protegge determinate fasce di lavoratori, quelle con i contratti a tempo indeterminato e i pensionati, abbandonando a sé stesse le categorie meno protette: i giovani con contratti precari, i co.co.co, gli assunti a progetto…
«E’ un’osservazione che sento spesso fare e la trovo un luogo comune. Le due nostre categorie più in crescita dal punto di vista della rappresentanza sono la SLC (Sindacato dei lavoratori della comunicazione) e la FILCAMS (Sindacato dei lavoratori del commercio): età media 30 anni, donne, migranti e giovani».

E le frange giovanili rimaste in strada? Quelle che non hanno nemmeno la possibilità di versarsi i contributi?
«Quando ci riusciamo ci occupiamo anche di loro. Purtroppo una delle cose peggiori che ha fatto il Governo è il collegato al lavoro, che ci impedisce di occuparci di questi giovani. La SLC è la categoria che organizza il call center e noi siamo il primo sindacato in tutti i call center. Abbiamo fatto decine di migliaia di tessere. Quando si dice questa cosa si parla di una verità. Noi non riusciamo a raggiungere tanti giovani che sono, come dire, dispersi nel territorio, ma dove ci sono luoghi di lavoro non è vero che noi rappresentiamo i vecchi. Anzi. Il sindacato c’è».

È d’accordo sul salario minimo garantito?
«No, non mi convince. Perché il salario minimo garantito diventerebbe un nemico della contrattazione e un nemico della redistribuzione efficace del reddito. In parole povere, il salario minimo garantito abbassa i salari. Ci sono altre forme da sviluppare per la protezione sociale».

Esiste l’esigenza, secondo lei, di un patto generazionale?
«L’esigenza c’è, ma non è vero che un patto generazionale si fa togliendo dei diritti agli altri. Magari dai padri per darli ai figli. Io penso che noi dovremmo riuscire (ma non abbiamo un Governo con cui dialogare) a fare un ragionamento serio sugli ammortizzatori sociali. Per esempio allungando l’indennità di disoccupazione e assicurando la copertura dei periodi di intermittenza per i precari. Il vero patto generazionale non è tra padri e figli. Perché ci sono padri ultracinquantenni che hanno perso il lavoro. Il vero patto è tra i lavoratori che stanno in luoghi organizzati e i lavoratori dei call center o dispersi e quasi irrintracciabili».

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