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Dal Jobs Act al provvedimento cancella voucher (e Referendum).

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Marzo 17, 2017

Dal JobsAct al provvedimento cancella voucher (e Referendum). Una riflessione di Massimo Franchi, giornalista dell’Unità, perché ricostruisce le nostre fatiche, e un percorso ancora lungi dall’ essere concluso.
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Avendola seguita dall’inizio, vorrei raccontarvi una storia. Una storia che ancora non si sa come va a finire. E’ così lunga che chi mi controlla si addormenterà prima della fine. Dunque vado (abbastanza) tranquillo. C’era una volta. Era il 2014 e iniziò a circolare una espressione inglese, copiata malamente da Obama: Jobs act. Era la riforma più importante del governo, doveva creare lavoro, far calare la disoccupazione record in Italia. Senza ascoltare minimamente i sindacati, il governo decise di fare un po’ come gli pareva, forte della delega avuta dal parlamento – e senza poi ascoltarlo e mettendo la fiducia. Praticamente fece un copia-incolla delle richieste di Confindustria, riducendo il costo del lavoro e togliendo diritti e tutele a tutti i lavoratori. Facilitò i contratti a tempo determinato – togliendo la causale – tolse l’articolo 18, ma solo ai chi sarebbe stato assunto – i giovani in primis – dando in cambio 20 miliardi di sgravi contributivi alle imprese che avrebbero assunto persone a “tutele crescenti” – espressione senza senso: le tutele crescenti si limitano all’indennizzo che aumenta minimamente in caso di licenziamento col passare del tempo – tagliò gli ammortizzatori, allargò l’utilizzo dei voucher – ricordatevi questa parola.
Messo nell’angolo, il più grande sindacato italiano – la Cgil – decide, dopo molte discussioni, di rispondere a questo attacco senza precedenti – ‘il gettone nell’i-phone’ – e cerca di uscire con due mosse inedite: una Carta Universale dei diritti che riscrive il diritto del lavoro superando l’atavica divisione lavoratori dipendenti-autonomi e ridà diritti a tutti. Per dare più forza alla proposta di legge popolare, affianca tre quesiti referendari per abrogare il contratto a tutele crescenti, i voucher e la deresponsabilizzazione negli appalti: chi lo vince – per risparmiare – appalta ad altre imprese che operano senza tutele per i lavoratori che per avere gli stipendi devono quasi sempre fare causa e attendere anni.
Oltre tre milioni di persone firmano questi referendum. La politica se ne infischia per anni finché arriva la Corte Costituzionale che – grazie alle indicibili pressioni del dottor Sottile – blocca il referendum più pesante, quello sull’articolo 18 e lascia quelli sui voucher e gli appalti.
Il caso dei voucher è il più incredibile. Inventati da Marco Biagi nel 2003 per regolare il lavoro occasionale di ripetizioni e badanti sono stati piano piano allargati a tutti i settori. Ma è col clima del Jobs act – che agli imprenditori ha permesso di fare un po’ come gli pare – che hanno un vero e proprio boom. Perfino nei cantieri edili, perfino le grandi aziende invece di usare i contratti, pagano soprattutto i giovani con questi ‘buoni lavoro’ che costano niente (10 euro per un’ora calcolata però dalle imprese e cioè a cazzo, tanto ci guadagnano) e che non danno tutele. Insomma, l’ultima frontiera della precarietà legittimata politicamente dal Jobs act.
La bomba scoppia nelle mani del governo – anche i giornali renziani sono costretti a registrare il boom -che cerca di correre ai ripari. La parola d’ordine è tracciabilità: prima di usarli le imprese devono mandare un sms al ministero. La corsa è rallentata – anche grazie al cambio di calcolo dell’Inps – ma non si arresta. Nel frattempo il referendum costituzionale è una mazzata: il governo sconfitto si dimette sotto il 60 per cento di No – l’80 per cento fra i giovani. Il nuovo governo ha la faccia meno truce e pensa a come evitare un nuovo 4 dicembre. Mentre i renziani iniziano a disconoscere i voucher che hanno liberalizzato, si inizia a parlare di una legge che li modifichi “radicalmente” (sic) tornando ai tempi di Biagi. Il rischio però è che il referendum non si eviti perché la Cgil da promotore dice “niet”, vanno aboliti. La logica è chiara: abbiamo rischiato una via mai tentata, non ci arrendiamo senza una vittoria netta.
La controinformazione intanto affila le armi: “la Cgil usa i voucher” (in realtà è solo lo Spi a rimborsare qualche vecchietto che li aiuta mentre l’Inps ci mette mesi a dare la lista degli utilizzatori fra cui spicca la Juve e tanti big dell’interinale), “noi renziani i voucher li abbiamo solo limitati” (invece hanno aumentato il tetto annuo a 7 mila euro e li hanno liberalizzati) e tutti a dire: “Con l’abolizione dei voucher si alimenta il lavoro nero”. In realtà perfino una ricerca Inps ha dimostrato che i voucher non hanno fermato per niente il lavoro nero, sono solo la scappatoia per pagare meno e senza tutele e nessuno ricorda come gli articoli 80 e 81 – che allego – della Carta dei diritti universali della Cgil (incredibilmente incardinata alla Camera) propongono di sostituire i voucher con il Contratto subordinato occasionale: stessa semplicità dei voucher – una card attiva il contratto – , solo più tutele per i lavoratori – pensione, ferie, malattia.
E così arriviamo ad oggi. Pur di evitare una probabile nuova sconfitta referendaria pare che il governo presenti un decreto (ma i requisiti di urgenza sarebbero solo “evitare i referendum che abbiamo paura di perderli?”, qualche dubbio di incostituzionalità rimane, chissà Mattarella…) per abolire completamente i voucher. La sommossa dei ben pensanti è già partita: “buttano il bambino con l’acqua sporca”, cancellano uno strumento logico per evitarne solo gli eccessi.
Il retropensiero (mio) è questo: magari vogliono cancellare i voucher per riscrivere qualcosa di molto simile tra qualche mese (o ancora meglio dopo aver vinto le elezioni) e fottere la Cgil e gli italiani che avrebbero votato #con2si (in quel caso non si potrebbe legiferare più a lungo).
C’è poi da fare i conti con gli ineffabili Sacconi e Alfano (e Salvini) che vedono l’abolizione come l’arrivo del socialismo (sic).
Prima di festeggiare (io lo farei: sarebbe la prima retromarcia, il primo allargamento dei diritti dei lavoratori dopo decenni bui) aspetterò che i decreti – anche quello sulla responsabilità sociale negli appalti, ugualmente importante – siano convertiti e che il retropensiero sul trappolone “te li abolisco ma te li rimetto fra poco” sia confutato.
Nel frattempo qualche risultato è già stato ottenuto. Da qualche settimana si parla tanto di lavoro, tanto di diritti. Di come allargarli e non di come tagliarli. I lavoratori, i giovani, gli esclusi, i disoccupati, insomma gli ultimi, ringraziano.

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