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14 novembre: Epifani, a Roma i volti della crisi

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Novembre 11, 2009

14 novembre: Epifani, a Roma i volti della crisi
Sabato manifestazione nazionale della CGIL ‘Il lavoro e la crisi: esigiamo delle risposte’. Per il Segretario Generale “in questo momento di crisi la priorità è sostenere la condizione di chi perde il lavoro, di chi sta in difficoltà”
 10/11/2009

Portiamo a Roma le facce, i volti della crisi. Vogliamo che il paese abbia la percezione del dramma dei disoccupati, dei licenziati, dei cassintegrati, dei precari. Che il governo comprenda che non si può nascondere la realtà e che occorre fare qualcosa di concreto, subito. Vogliamo anche che siano stabilite le priorità e sia evitato al paese lo stillicidio di misure inefficaci o inutili, che si ponga fine all’approssimazione. Vogliamo anche che i principi della democrazia e del pluralismo condizionino i comportamenti di chi firma i contratti contro la volontà della maggioranza dei lavoratori. Alla vigilia della manifestazione nazionale di sabato 14 novembre a Roma sui temi della crisi e del lavoro, Guglielmo Epifani, Segretario Generale della CGIL, si esprime in termini molto chiari sulle diverse emergenze che l’Italia sta vivendo in una intervista rilasciata congiuntamente a Rassegna sindacale, Rassegna.it e RadioArticolo1.


I presidi della CGIL nel centro di Roma e le tante iniziative per l’occupazione e la difesa dei redditi, contro gli effetti della crisi, dimostrano che c’è un rinnovato protagonismo dei lavoratori e del Sindacato?

Man mano che la crisi mostra il volto più pesante, quello dei licenziamenti, delle fabbriche che chiudono, è evidente che diventa difficile nascondere la realtà. La verità è che non ci siamo ancora. In Italia siamo molto al di sotto di quanto avviene negli altri paesi. Abbiamo una situazione singolare: se leggi i giornali, da noi ti metti le mani nei capelli. Sulle prime pagine dei giornali esteri ci vanno le ragioni della crisi, i mezzi per contrastarne gli effetti e le politiche di sostegno dei più deboli. I nostri media parlano di tutto tranne che della crisi. Stiamo diventando un paese troppo provinciale.
 

Un paese alla deriva?

Sì, traggo questa considerazione da un aspetto: abbiamo un grande problema che riguarda anche l’Italia, ed è il futuro dell’Unione europea. Abbiamo avuto nei giorni scorsi la firma del Trattato, ma tutti i temi che sono sollevati in Europa da noi sono assenti. Non se ne occupa nessuno. Si seguono con passione le vicende delle escort, dei trans, gli inciuci. Il nostro paese ha avuto in quest’anno un calo d’immagine spaventoso. Chiunque va all’estero se ne accorge subito. Il dibattito pubblico che segna la vita del nostro paese, è totalmente fuori centro. Ed è il segno sia del provincialismo sia del declino dell’Italia. Se non consideriamo rilevanti i grandi temi che in Europa si discutono, vuol dire che siamo emarginati da questo dibattito.

Contiamo sempre meno in Europa.

Già. Un paese che non orienta più niente. Anche la questione della candidatura di Massimo D’Alema alla carica di rappresentante della politica estera dell’Ue è vissuta da qualcuno come un inciucio e non come un problema vero. Il paese non ha più un ruolo importante in Europa. Dovevamo avere la presidenza del Parlamento europeo, la presidenza del gruppo più importante dello stesso Parlamento, e invece non abbiamo proprio nulla. E’ un problema serio perché riguarda il turismo, la cultura, l’economia, la finanza, la credibilità del paese, la condizione delle persone.

Eppure il governo ci dice che siamo fuori dalla crisi, che si possono tagliare le tasse, che si rilancerà la politica industriale appena usciremo dalla recessione.

Da noi si parla, si riparla, si fanno polemiche ma siamo un paese che non risolve mai i problemi. Abbiamo visto nei giorni scorsi l’annuncio: parte il Ponte sullo Stretto. Ma cosa è partito? Nessuno sa rispondere. La verità è che partita una bretella ferroviaria, decisa dal governo Prodi, non l’ultimo, ma il primo. E tutti a dire: “parte il ponte”. Ma quale ponte? Non si possono affrontare problemi tanto seri con questa approssimazione. Lasciamo perdere la vicenda Irap, o quella relativa agli interventi sociali con lo slogan “nessuno rimane indietro”. Così non andiamo da nessuna parte.

Veniamo alla manifestazione del 14 novembre. Perché è così importante partecipare? Per dare un segnale al governo? Scajola e Tremonti hanno manifestato disponibilità nei confronti di Epifani e della CGIL a cui però non sono seguiti atti concreti.

Esatto. Questi ministri, per la verità anche qualche altro, dimostrano attenzione, ascoltano. Se li inviti vengono alle tue iniziative, cercano di ragionare con noi. Ma poi le cose che si impegnano a fare e che dovrebbero fare non ci sono. Ci attendiamo qualcosa di più, ed invece si stanno baloccando. Immagino già cosa accadrà per i soldi dello scudo fiscale. Quando si capirà se sono entrati, per dire, cinque o sette miliardi e si dovrà dire come si vogliono utilizzare queste risorse, che cosa verrà fuori non avendo definito un ordine delle priorità?

Le priorità sono i precari, i cassintegrati, coloro che sono espulsi dal processo produttivo?

Sì. In questo momento di crisi la priorità è sostenere la condizione di chi perde il lavoro, di chi sta in difficoltà. Ovvero atti concreti a vantaggio degli investimenti e i redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.

C’è un’emergenza salariale?

In Italia c’è un problema di reddito ineguale. Se si dice che i salari e le pensioni sono troppo bassi, si dice la verità. Altrettanto è vero che il paese è diseguale nella distribuzione delle ricchezze. Naturalmente, oggi la vera emergenza è il lavoro e l’occupazione. Diventa complicato parlare di aumento dei salari se contemporaneamente hai milioni di persone che perdono il lavoro o sono in Cassa integrazione. Occorre calibrare le parole d’ordine in ragione dei problemi che giustamente sono ritenuti più importanti. Al primo posto c’è la crisi.

Democrazia e rappresentanza. All’assemblea della FIOM hai insistito sul tema caro a tutta la CGIL: noi facciamo accordi, ma un accordo o è democratico o non è.

Certo. Seguiamo un ragionamento. Com’è successo nel settore dei meccanici, non per la prima volta, organizzazioni che probabilmente non rappresentano la maggioranza degli iscritti ai sindacati firmano per tutti. Se io accetto in via di principio che chi rappresenta una minoranza può decidere per la maggioranza, quell’accordo non può essere un accordo perché si sovverte ogni principio democratico, fino addirittura a definire una oligarchia che può decidere per tutti. In questo caso, come si fa a parlare di un contratto? E’ un accordo oligarchico, imposto da pochi, minoritario. Non è un contratto stipulato da soggetti che hanno pienezza di rappresentanza. In passato gli accordi erano stipulati dalle tre grandi confederazioni che insieme facevano la maggioranza degli iscritti al sindacato. Nessuno ti veniva a chiedere di verificare i voti perché era così visibile e palpabile. Era come se quel contratto fosse stato votato da tutti. Se non è più così, non può una minoranza prevalere sulla maggioranza. E’ contro qualunque senso comune, in qualunque realtà: pensiamo alla CGIL, al Parlamento, al governo, a qualsiasi assemblea elettiva. La gente non capisce.

Nel caso dei metalmeccanici FIM e UILM rifiutano il referendum.

Eh già. C’è bisogno di una verifica democratica proprio perchè siamo in presenza di un accordo separato. E’ evidente che se un accordo è firmato dalle tre organizzazioni sindacali c’è bisogno di una verifica tra i lavoratori, ma in quel caso il problema è già in gran parte risolto. Ma quando manca la firma di tutti, quello è il momento in cui devi chiamare al voto i lavoratori. Ciò che oggi appare più difficile da avere, è invece la cosa più logica. Per CISL e UIL si può votare solo quando tutti sono d’accordo; per noi, se c’è una logica, si deve votare soprattutto quando questo accordo non c’è. Occorre trovare una soluzione democratica, anche perché così si difende il pluralismo. Come si può parlare di pluralismo, quando le opinioni diverse su un accordo non possono essere giudicate dai lavoratori? In questa negazione del ruolo della FIOM, cioè del sindacato più grande, c’è anche un attacco al pluralismo, con una organizzazione che viene messa al margine. L’accordo separato è un pensiero che emargina un altro pensiero, è un pluralismo che si dimezza. Mi piacerebbe ragionare con diversi soggetti, non solo dentro al sindacato, su un principio di legittimazione democratica.

Quale appello ai lavoratori per il 14 novembre?

Sabato 14 avremo una buona presenza a Roma. Ci stanno lavorando in tanti. Non abbiamo però cercato di organizzare una manifestazione oceanica. Non ci interessa una prova muscolare. Vogliamo portare le facce, le condizioni della crisi, specie dell’industria, i volti dei precari e dei senza lavoro nel centro di Roma, in una delle più belle piazze d’Italia, perché il paese abbia la percezione di una condizione di difficoltà che è molto estesa, dal Nord al Sud, ed è un problema di cui bisogna seriamente occuparsi.

I dati europei e quelli dell’INPS parlano di un aggravamento del problema lavoro.

Non dobbiamo stupirci se le borse danno qualche segnale positivo. Ma se la produzione industriale continuerà a decrescere, la disoccupazione non potrà che aumentare. In sintesi, si può parlare di una ripresina senza lavoro.

Una condizione gravissima per i precari.

C’è una generazione che viene massacrata. Oggi non c’è più un interinale in alcun luogo di lavoro. Il ministro del Welfare propone un piccolo bonus per chi assume. Tentano più che altro di lasciar credere che si sta facendo qualcosa piuttosto che puntare seriamente a qualche risultato concreto. Sto ai dati forniti dai nostri uffici di ricerca: il contributo per i precari interesserà poco più di mille persone! Questo non va bene.

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