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Camusso: altro che Italicum la vera priorità è il lavoro

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Febbraio 18, 2014

Camusso_07Camusso: altro che Italicum la vera priorità è il lavoro

18/02/2014 Il segretario Generale della CGIL in una intervista a ‘il Mattino’: “finora solo titoli. Ministri politici, basta tecnici”

Resta in un atteggiamento di attesa, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, sul nuovo governo, Questione di contenuti «che ancora non si vedono», spiega, più che di simpatia o antipatia verso il premier incaricato Matteo Renzi. Ieri a Napoli per incontrare i lavoratori della sanità privata e quelli dell’Atitech a Capodichino, Camusso non appare incuriosita più di tanto dalla road map indicata dall’ormai ex sindaco di Firenze.

Una riforma al mese, ha promesso Renzi: cosa c’è che non la convince?
«Sono sempre stata convinta che in questo Paese si possano fare le cose in tempi brevi e certi. Ma mi colpisce il fatto che per ora abbiamo davanti a noi dei titoli, solo dei titoli. Ciò che il sindacato si aspetta, ora più che mai, è un programma, i tempi di realizzazione, gli interventi su cui si punta».

Renzi partirà dall’Italicum, poi il lavoro, la pubblica amministrazione e il fisco: ha dimenticato qualcosa?
«Il primo tema per la Cgil resta la disoccupazione giovanile e la creazione del lavoro, non un’ennesima riforma delle regole. Per questo abbiamo proposto l’introduzione della patrimoniale, la riduzione drastica delle tasse sul lavoro e sulle imprese, un grande piano per gli investimenti pubblici: tutti interventi che possono dare risposte concrete all’emergenza occupazione. Limitarsi ad aspettare solo gli investimenti dei privati come finora è stato fatto, non è una scelta saggia».

Il jobs act annunciato da Renzi non vi ha convinto ancora?
«Ripeto: il tema non è la riforma, l’ennesima, del mercato del lavoro. Occorrono ammortizzatori universali per sostenere le centinaia di migliaia di lavoratori che hanno perso l’occupazione ma soprattutto servono scelte per la crescita e lo sviluppo».

Il finanziere Davide Serra, da sempre vicino a Renzi, dice che la tassazione delle rendite finanziarie e il taglio del cuneo fiscale sono necessari: non la pensate anche voi così?
«Serra proponeva di tagliare i salari e ora concorda con la Cgil che bisogna tassare le rendite finanziarie: un cambiamento che saluto positivamente. È giusto combattere i privilegi della rendita ma per un grande progetto sul lavoro servono risorse importanti come quelle che possono arrivare da una patrimoniale. Altrimenti si garantisce solo un po’ di ossigeno allo Stato. A noi della Cgil in realtà preme molto la reintroduzione di un principio di uguaglianza che è stato smarrito dagli ultimi governi: una parte del Paese ha continuato ad arricchirsi, come emerge anche dalle ultime statistiche, e un’altra, ben più numerosa, si vede sempre più emarginata e in difficoltà. E questa è certamente una precisa responsabilità della politica».

Lei pensa che Renzi chiederà di incontrare anche i sindacati prima del giuramento del governo o farà a meno del loro parere?
«Non lo so. Abbiamo avuto esperienze in un senso o nell’altro. Dipende da come il presidente incaricato si regolerà».

Sorpresi anche voi dal cambio al vertice del governo?
«Non abbiamo mai fatto questione di formule e di presidenti ma di contenuti. Di risposte, cioè, che non sono venute anche dall’ultimo governo: si è parlato di grandi prospettive di cambiamento economico mentre in realtà abbiamo continuato a vedere la crescita della disoccupazione».

Oggi si mobilitano le partite Iva, le piccole imprese: che ne pensa?
«E la dimostrazione di una difficoltà forte. Il Paese ha discusso poco in questi mesi che per la crisi ci siamo giocati un quarto dell’apparato produttivo del Paese; ma dall’altro lato c’è anche molta delusione per il fatto che tanti provvedimenti annunciati non si sono tradotti in decreti».

Si riferisce al taglio del cuneo fiscale?
«Sì, perché la riduzione della tassazione sul lavoro e sulle imprese era e rimane indispensabile per far ripartire i consumi, l’occupazione e la crescita. Ma attenzione, non è che il sistema imprenditoriale può chiamarsi fuori dalle responsabilità della crisi: la storia che il piccolo è bello, la scelta della via finanziaria invece degli investimenti sono tutte parti di un sistema produttivo che si è assestato in una logica di riduzione dei costi e non certamente di sviluppo del Paese».

Il ministro dell’Economia, Saccomanni è nel mirino di molti: è giusto prendersela tanto con l’ex direttore generale di Bankitalia?
«Non rimprovero ad un singolo ministro ma agli ultimi governi di essersi fatti dettare la linea economica dalla Ragioneria generale dello Stato: una linea che di fatto ha impedito gli investimenti e non ha rimesso in moto un Paese in grave difficoltà come il nostro. Un Paese che senza investimenti pubblici difficilmente potrà tornare a crescere».

Meglio ministri di estrazione politica o tecnici, magari di gran nome?
«Non mi pare che in questi anni il ricorso ai tecnici abbia prodotto risultati significativi. Purtroppo uno dei danni di questa lunga stagione è di avere costruito un’idea della politica inutile e corrotta. E invece la politica è un mestiere serissimo perché è l’arte del governare, la garanzia della rappresentanza degli interessi. È utile che questa missione torni e si riaffermi anche nella coscienza collettiva».
 
Anche lei pensa che sull’agenda del nuovo governo continueranno a pesare i vincoli e le direttive dell’Ue, specie in materia economica?
«Quando la Cgil ha presentato la proposta di piano per il lavoro, abbiamo indicato anche le cose da fare rispetto all’Europa: se ad esempio il fiscal compact resta così com’è, rischiamo di ridurre a zero le possibilità di crescita. Un sistema fiscale che continua a non tassare chi ha tante case, per fare un esempio, aumenterà gli squilibri e le disuguaglianze del Paese. Detto questo, è anche vero che l’Europa spesso è diventata un alibi. Sui fondi strutturali, ad esempio, è difficile non essere d’accordo con Bruxelles che chiede di spenderli bene: ma questo chiama in causa i co-finanziamenti nazionali, ovvero la necessità di un intervento pubblico forte di cui l’Italia ha assolutamente bisogno».

Perché?
«Perché il mercato senza regole è fallito e ci ha portato alla crisi. Viene tanto citata come esempio la Germania ma veramente si pensa che in quel Paese abbiano fatto tutto gli imprenditori privati? O non dobbiamo piuttosto ammettere che nel rivendicare la riforma della Pubblica amministrazione ci siamo trovati di fronte solo alla logica dei tagli e non anche al miglioramento della qualità del lavoro e delle prestazioni? Prendiamo la sanità: la politica continua a mettere becco nella nomina dei direttori generali delle Asl, ma non dovrebbe prevalere piuttosto un’idea di servizio pubblico a tutti gli effetti?».

In Campania si sta cercando di ripianare il debito, il pubblico e in particolare la Regione si sono dati molto da fare…
«Non discuto ma intanto si va ancora avanti con la logica dei tagli, la logica che continua ad accreditare, ad esternalizzare. Non è una scelta casuale: noi spendiamo molto di più di quello che avremmo speso se si fosse investito nel settore pubblico».

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