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Lavoro: Ires CGIL, 8 milioni in sofferenza, 3,5 mln disoccupati ‘veri’

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Novembre 16, 2011

Lavoro: Ires CGIL, 8 milioni in sofferenza, 3,5 mln disoccupati ‘veri’
Report su effetti crisi: -530 mila occupati, mercato sempre più atipico. Secondo il sindacato la disoccupazione reale è oltre quota 13%, gli stipendi medi tra 600 e 700 euro al mese. CGIL, “crisi e scelte passate del governo hanno allargato area di sofferenza nel mondo del lavoro”
16/11/2011 da www.cgil.it

Un processo di “radicale modifica” della struttura del mercato del lavoro che ha “allargato l’area della ‘sofferenza’” stimandola in circa 8 milioni di persone, tra disoccupati, inattivi, cassintegrati, precari e part time involontari. E’ la stima contenuta nel report curato dall’Ires CGIL “Un mercato del lavoro sempre più ‘atipico’: scenario della crisi” che ripercorre gli ultimi quattro anni dell’occupazione italiana (dal 2007 al primo semestre di quest’anno), mettendo a fuoco l’impatto della crisi in corso nel mondo del lavoro.

E’ nero il quadro che emerge dallo studio dell’istituto di ricerche della CGIL presentato oggi in Corso d’Italia. A fronte della caduta del prodotto interno loro italiano nel passato biennio, che ha determinato nel corso del decennio 2001-2010 una performance di crescita dello 0,2% contro l’1,3% della media Ue, si è registrata una “caduta drammatica dell’occupazione” con oltre 530mila occupati in meno, sempre nel biennio di crisi, che ha interessato prima il lavoro temporaneo e poi le posizioni stabili. Contestualmente è aumentata la disoccupazione e l’inattività, quest’ultima non ‘intercettata’ dagli indicatori tradizionali di calcolo del tasso di disoccupazione.

Lo studio infatti ritiene “restrittivi” i criteri per definire il tasso di disoccupazione, ovvero il binomio ricerca attiva di un lavoro e disponibilità a lavorare, come sostenuto recentemente anche dall’Istat. L’area della disoccupazione allargata, che comprende tutti i disoccupati Istat e tutti gli inattivi in età da lavoro, risulta molto più vasta di quella della disoccupazione ufficiale. In particolare nel 2010 ha contato secondo l’Ires circa 3,5 milioni di persone, di cui 1,5 senza impiego, e più della metà residenti nel Mezzogiorno. Non quindi una forzatura, quella dell’Ires, ma “la consapevolezza che la crisi ha dilatato i tempi delle disoccupazione”, come osserva la direttrice dell’Ires, Giovanna Altieri, nel segnalare che “aumenta il peso di quanti cercano un impiego per un periodo compreso tra 6 e 23 mesi”.

Per quanto riguarda il primo semestre dell’anno in corso si registra una ripresa grazie alle sole posizioni di tempo determinato mentre il lavoro standard continua la sua flessione. Guardando ad esempio alle dinamiche in corso per un gruppo significativo di regioni del centro-nord (8 regioni e due province autonome), le attivazioni a tempo indeterminato rappresentano una quota decrescente dei nuovi contratti: si è passati dal 23,6% del 2008 al 18,9% del 2010, rendendo l’acceso al tempo indeterminato sempre più ‘stretto’. Cresce inoltre anche la sottoccupazione, come viene documentato nel rapporto dal numero degli occupati a tempo parziale involontario pari a 1 milione e 850 mila circa nel primo semestre 2011, mentre il lavoro temporaneo comincia a connotare anche il lavoro degli adulti over 44 che nell’insieme degli atipici sono il 21,5%, fenomeno che interessa soprattutto i meno scolarizzati.

Passando ai grandi aggregati, il tasso di disoccupazione ha cominciato a crescere nel 2008 portandolo all’8,4% registrato lo scorso anno, media tra il 13,4% nel Mezzogiorno e il 6,4% nel Centro-Nord. Risalta ancora una volta negativamente il dato relativo alle donne. Il tasso di disoccupazione femminile lo scorso anno è stato pari al 9,7%, con il Mezzogiorno in sofferenza al 15,8% e il Centro-Nord al 7,6%. Quanto al tasso di inattività, vale a dire il rapporto tra inattivi e popolazione in età da lavoro – si è ridotto di mezzo punto nel 2008, mentre nel biennio 2009-201010 ha guadagnato complessivamente 8 decimi, portandosi a quota 37.8%, quasi nove punti in più rispetto alla media dell’Unione. Questo risultato è imputabile al notevole incremento dell’inattività nel Mezzogiorno (49,2% a fronte del 31,6% nel Centro-Nord), soprattutto maschile. Per quanto riguarda le donne, il tasso di inattività è stato del 48,9% per un 63,7% nel Mezzogiorno e un 40,7% nel Centro-Nord.

Tra gli inattivi, il rapporto dell’Ires segnala anche gli ‘scoraggiati’, ovvero coloro che rinunciano alla ricerca di un’occupazione nella convinzione di non riuscire a trovarla. Gli scoraggiati erano nel 2007 l’8,8% degli inattivi in età da lavoro, circa 1 milione e 290 mila persone. Nel 2010 il loro peso è salito al 10,1%, dato equivalente a quasi un milione e mezzo di persone. L’aumento ha interessato tanto il Centro-Nord (dal 4.,% al 5,3%) quanto il Mezzogiorno (dal 14,7% al 15,8%), dove peraltro si concentra nel 2010 il 72% degli scoraggiati, vale a dire un milione e 80 mila persone. Per quanto la crisi abbia alimentato lo scoraggiamento soprattutto tra gli uomini meridionali e le donne del Centro-Nord, l’aggregato conserva un “carattere prettamente femminile”, come osserva il rapporto, rappresentando le donne, ancora nel 2010, più dei due terzi dell’insieme.

Passando al tasso di disoccupazione, pari al 56,9% nel 2010, il giudizio dell’istituto della CGIL è che la crisi abbia eroso soprattutto l’occupazione maschile, in particolare nel Mezzogiorno passato dal 62,2% del 2007 al 57,6% del 2010, mentre ha ridimensionato l’ascesa di quella femminile delle regioni del Centro-Nord, comprimendo a circa al 30,5% l’occupazione delle donne meridionali. Nel biennio 2008-2010 si è registrata una diminuzione dell’occupazione di -532 mila unità. Su questo dato il lavoro dipendente stabile a tempo pieno ha partecipato con -318 mila unità, quello autonomo full time con -118 mila, i part-time stabili volontari con -159 mila, i dipendenti a termine con -141 mila e i collaboratori con -65 mila. Soltanto il lavoro stabile part-time involontario aumenta e notevolmente nei due anni considerati per un +269 mila, pari a un +30,4%. Ma questa discesa dell’occupazione diviene “rovinosa” se si considerano soltanto i cittadini italiani: -863 mila occupati in meno tra il 2008 e il 2010, vale a dire -4% in due anni. Nello stesso periodo i lavoratori di cittadinanza straniera (comunitari e non) hanno guadagnato 330 unità (+18,9%), contribuendo in misura crescente alla composizione dell’occupazione complessiva (erano il 7,5% nel 2008 e saranno il 9,1% nel 2010).

Il report dedica una sezione sulle professioni alla luce dell’impatto della crisi sull’occupazione. Se infatti nel corso del biennio 2008-2010 il numero degli occupati e diminuito complessivamente di -532 mila unità, le professioni tecniche hanno subito in assoluto la contrazione maggiore, ovvero -347 mila unità pari a un -7%, seguite da quelle imprenditoriali e dirigenziali, pari -174 mila unità cui peraltro è imputabile la riduzione maggiore in termini relativi (-16%), da quelle scientifiche e di elevata specializzazione (-141 mila pari a -5,8%), dalle professioni manifatturiere semiqualificate (- 140 mila pari a -7,2%), dagli artigiani, operai specializzati e agricoltori (-125 mila pari a -2,9%). In generale, hanno perduto terreno le professioni di medio-alto profilo mentre hanno tenuto gli impiegati generici (+80 mila pari a +3,2%) e, soprattutto, le professioni non qualificate (+229 mila, pari a +10,8%) che hanno nell’insieme parzialmente compensato l’emorragia di posti di lavoro.

Infine per quanto riguarda i giovani, o meglio le “nuove generazioni” come precisa Altieri, l’analisi per età delle dinamiche occupazionali permette di riconoscere nella fascia tra i 15 e i 34 anni i soggetti in assoluto più penalizzati: in due anni perdono 854 mila occupati, vale a dire il 12% di 7 milioni 110 mila stimati nel 20089. Nel dettaglio per classi decennali, i più giovani (fino a 24 anni) diminuiscono relativamente di più (-15,9%, vale a dire -235 mila unità) mentre i meno giovani, ovvero le “nuove generazioni” o “giovani adulti”, di 25-34 anni si riducono dell’11%, percentuale equivalente ad una perdita in termini assoluti molto più consistente (-619 mila).

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