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Camusso, quegli operai morti sono una sconfitta del sindacato

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Dicembre 3, 2013

Camusso, quegli operai morti sono una sconfitta del sindacato

03/12/2013 da www.cgil.it

In una intervista sul quotidiano ‘l’Unità’ il segretario generale della CGIL commenta i tragici fatti di Prato: “ci sono gli strumenti di prevenzione e controllo. Prato non è una metropoli, dove sono le istituzioni, gli amministratori e la polizia?”. “La crisi allarga la piaga di un’economia illegale, criminale, basata sulla violenza e 00. Susanna Camusso. Fotogria Mario Llorca. WWW.MARIOLLORCA.COMlo sfruttamento

«I morti sono tutti uguali, italiani o cinesi, clandestini o regolari, ogni volta che c’è un incidente, ogni volta che si muore per il lavoro, per noi è una sconfitta». Susanna Camusso, leader della Cgil, si interroga sull’ultima tragedia del lavoro, ma sarebbe più giusto parlare di sfruttamento, di schiavitù, di segregazione per il rogo umano di Prato.

Camusso, Prato non è in Pakistan, siamo in una città di medie dimensioni, con una storia di solidarietà, di sana politica e anche di buona amministrazione in passato. La comunità cinese è presente da decenni, possibile che non sia stato possibile fare nulla per evitare questo incidente?
«Quello che più mi colpisce in questo dramma umano è proprio il fatto che avviene in una città italiana, di lavoro e industria, un distretto famoso nel mondo e oggi si presenta con le fabbriche dormitorio, con le sbarre alle finestre, con il lavoro ridotto alle condizioni opprimenti di un carcere. In quelle condizioni, come lavorano e come muoiono i lavoratori cinesi, siamo alla schiavitù vera e propria. Non vorremmo nemmeno immaginare che possano accadere fatti come questi. In Italia abbiamo tanti problemi ma non vogliamo precipitare in questi drammi di sfruttamento e di morte, come la cronaca invece ci ripropone».

Cosa c’è che non va?
«C’è una sensazione di impotenza che coinvolge tanti, politica istituzioni amministrazioni. I cinesi sono presenti nel nostro Paese da molti anni, sono attivi a Prato da decenni, producono e fanno affari dentro un sistema sommerso che continua a restare sommerso nonostante ci siano gli strumenti per farlo emergere, per costringerlo alla legalità. Noi della Cgil siamo stati spesso accusati di esagerare, di voler denunciare realtà economiche che non ci piacevano, proprio a Prato, perchè vedevamo e vediamo il pericolo di quelle condizioni di sfruttamento e di violenza».

Che cosa non le torna?
«Non mi torna il fatto che Prato è una città controllabile non è una megalopoli, con una presenza ben definita delle fabbriche cinesi. Dove sono i controlli, perchè non ci vanno le forze dell’ordine, dove sono le verifiche dell’Inps, perchè il sindaco e gli amministratori non usano gli strumenti che hanno in mano? Chi controlla le utenze del gas, della luce, i flussi di denaro? Forse dobbiamo adeguare le nostre capacità di intervento, ma ci sono già gli strumenti, di prevenzione e controllo, per far rispettare le leggi anche ai cinesi».

E il sindacato, quali difficoltà incontra?
«Il sindacato fa fatica, ci troviamo spesso di fronte a chiusure totali, saracinesche culturali che non riusciamo ad alzare. La comunità cinese si avvolge nella sua solitudine, spesso è impermeabile alle comunità in cui opera. È un fenomeno mondiale, riguarda tutti i paesi. La Cgil è aperta e sensibile a tutti i lavoratori stranieri, ma con i cinesi è un’impresa difficilissima. Abbiamo pochi delegati cinesi, pochi iscritti al sindacato. L’esperienza che abbiamo avuto anche come movimento delle donne è stata esemplare di questa chiusura: dopo un primo contatto con le donne cinesi, non è stato più possibile andare avanti, sono scomparse».

C’è una relazione tra l’espansione di questa economia e la crisi?

«Penso che la crisi abbia allargato il territorio dell’economia illegale, sommersa, accentuato i fenomeni di sfruttamento e di violazione sistematica dei diritti. I prodotti di quelle fabbriche cinesi vengono venduti su molti mercati, oppure vengono usati da altri imprenditori che sfruttano proprio il basso costo della mano d’opera, senza curarsi delle condizioni in cui avvengono queste produzioni. Prato è sempre stato un grande distretto tessile, poi le nostre imprese si sono ritirate,
alcune per la crisi altre per errori. Sono state sostitute in parte da un’imprenditoria criminale, che non può essere tollerata anche se produce enormi profitti di cui evidentemente molti beneficiano»

Come combatterla?
«Alcuni strumenti efficaci ci sono già, come ho detto. Ma sento il bisogno di mettere in campo uno sforzo ulteriore, la repressione da sola non basta. Dove vanno a scuola questi bambini cinesi? Cosa fanno le loro famiglie? È possibile agganciare questa comunità, renderla sensibile anche ai diritti, al lavoro dignitoso, al rispetto? A Barletta, dove c’è stata un’altra tragica vicenda simile a quella di Prato, siamo riusciti ad avviare un’esperienza positiva contro il lavoro nero, a sensibilizzare le persone e le imprese sul valore e l’importanza della legalità. Un esempio positivo ha un impatto ben più forte di tante discussioni, bisogna provarci».


 




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