cgil siena

P.A.: intesa su RSU chiude lunga vicenda

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 12, 2011

P.A.: CGIL, intesa su RSU chiude lunga vicenda
Le votazioni tra gli oltre tre milioni di lavoratori pubblici si terranno tra il 5 e il 7 marzo del prossimo anno, con lo scrutinio in programma l’8 marzo 2012. La Confederazione, attraverso diverse iniziative, ha più volte sostenuto “la necessità di difendere l’esigibilità del diritto al voto per i lavoratori della pubblica amministrazione e del comparto della conoscenza e difendere così la contrattazione e il diritto di rappresentanza nei luoghi di lavoro”
» Testo dell’accordo » CGIL, finalmente siglato accordo per rinnovo RSU
12/04/2011

da www.cgil.it

Dopo circa un anno di trattativa si sblocca la vertenza per il rinnovo delle Rappresentanza sindacali unitarie nel pubblico impiego. Ieri (11 aprile) all’ARAN le organizzazioni sindacali e l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni hanno sottoscritto un protocollo per la definizione del calendario delle votazioni per il rinnovo delle RSU, stabilendo nel dettaglio la tempistica delle procedure elettorali. Le votazioni tra gli oltre tre milioni di lavoratori pubblici si terranno infatti tra il 5 e il 7 marzo del prossimo anno, con lo scrutinio in programma l’8 marzo.

L’accordo di oggi chiude una vicenda iniziata circa un anno fa. Nel luglio dello scorso anno, infatti, l’allora Segretario Generale della CGIL, Guglielmo Epifani, inviò una lettera all’ARAN per chiedere “l’urgente apertura del tavolo negoziale per definire il calendario delle elezioni delle RSU nei settori pubblici e della conoscenza”. Da allora le frequenti trattative e le sollecitazioni giunte dalle categorie della CGIL interessate e dallo stesso Segretario Generale, Susanna Camusso, che seguirono, si arenarono sulla definizione dei comparti e delle aree di contrattazione, come previsto dalla legge Brunetta. La CGIL, attraverso diverse iniziative, ha più volte sostenuto “la necessità di difendere l’esigibilità del diritto al voto per i lavoratori della pubblica amministrazione e del comparto della conoscenza e difendere così la contrattazione e il diritto di rappresentanza nei luoghi di lavoro”. In tutto ciò non va dimenticato il duro colpo inferto al raggiungimento di un’intesa unitaria dello scorso 4 gennaio quando a Palazzo Chigi si siglò un accordo separato, senza la CGIL, sui premi di produttività nel pubblico impiego, interrompendo di fatti “un percorso unitario che le categorie stavano costruendo”.

Sulla questione comparti di contrattazione, l’accordo di ieri sgombra il campo dalla questione perché se da un lato lega sì il rinnovo delle RSU alla definizione dei nuovi comparti di contrattazione, attraverso un impegno assunto per “un intenso percorso negoziale finalizzato alla definizione degli ambiti entro cui effettuare il rinnovo delle RSU, dall’altro prevede una “clausola di garanzia” all’articolo 2 dell’intesa. Se infatti al prossimo 12 dicembre del 2011 non si sarà ancora raggiunto un accordo sui nuovi comparti “le procedure elettorali si svolgeranno”, in tutti i comparti di contrattazione rappresentati dall’ARAN, con una tempistica che parte il 19 gennaio, con l’annuncio delle elezioni e il contestuale inizio alla procedura elettorale, e culminerà con le votazioni in programma tra il 5 e il 7 marzo.

Argomenti: CGIL |

Speciale Riforma ammortizzatori sociali – Ridurre il precariato

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 8, 2011

Speciale Riforma ammortizzatori sociali
Lavoro: CGIL, ridurre precariato, deve costare di più
Il Sindacato rilancia la proposta di riforma degli ammortizzatori sociali, in vista dello sciopero generale del 6 maggio e in relazione alla manifestazione dei precari di sabato 9 aprile promossa dal Comitato ‘Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta’. Per la Confederazione è necessario intervenire sul piano legislativo, sui costi e sul welfare » Sintesi della proposta della CGIL di riforma degli ammortizzatori sociali
08/04/2011

da www.cgil.it

Ridurre a quattro le forme di lavoro diverse dal tempo indeterminato, aumentare i costi del lavoro precario per diminuirne il potere attrattivo da parte delle imprese, assunzione dei finti part time e dei finti stage, estensione anche a tutti i giovani precari del sistema attuale degli ammortizzatori sociali. Sono alcune delle proposte che la CGIL rilancia in vista dello sciopero generale del 6 maggio e in relazione alla manifestazione dei precari di domani. “E’ insopportabile il fatto che ormai l’80% delle nuove assunzioni avvenga attraverso forme di lavoro precario – dice Fulvio Fammoni, Segretario Confederale della CGIL, con delega ai problemi dell’occupazione – è anche questo un indice di una bassa qualità del sistema produttivo, ma soprattutto è la dimostrazione che il lavoro viene ormai considerato solo come un fattore di costo. Meno costa e meglio è e meno costa e più facile diventa liberarsene”.

La CGIL, spiega il dirigente sindacale, ha una sua proposta specifica, sia in termini di politiche del lavoro sia in termini di nuovi strumenti di welfare. “Bisogna intervenire contemporaneamente su almeno tre piani – dice il sindacalista della CGIL – sul piano legislativo è necessaria una riduzione del numero delle forme di lavoro che vengono scelte sempre di più in base alla convenienza dei costi (dal lavoro a chiamata, ai vaucher, passando per i falsi stage e le false partite IVA)”. Secondo il sindacato di Corso d’Italia, sarebbe quindi necessario riportare a 4 le forme di lavoro (con causali precise e percentuali di utilizzo), oltre il tempo indeterminato, sapendo che per quanto riguarda i collaboratori, quando prestano più del 50% della loro attività per un unico committente devono essere assunti a tempo indeterminato. E sapendo anche che il part time sotto un numero minimo di ore diventa comunque lavoro precario.

Il secondo piano su cui intervenire è quello dei costi. “Oggi il lavoro precario – spiega ancora Fammoni – costa meno di quello standard. Deve invece costare di più perché scarica sulle persone e sulla collettività rischi e oneri maggiori”. Il terzo piano di intervento riguarda il welfare da estendere per dare certezze di tutela a tutti i lavoratori. E anche su questo la CGIL ha avanzato una proposta specifica (vedi allegato). Per realizzare tutti questi obiettivi è necessaria una volontà politica e serve un rilancio del ruolo dei contratti e della contrattazione affinché “il lavoro – conclude Fammoni – non sia considerato più un puro fattore di costo, ma un valore sociale. L’esatto contrario cioè di quello che esiste oggi e di quello che propaganda il governo in carica. Intanto vedo con piacere che anche grazie alla manifestazione dei giovani precari l’assordante silenzio sulla precarietà si è rotto e molti ne parlano, ma non può essere che dal prossimo lunedì torni il silenzio”.

Argomenti: CGIL |

11 aprile: ‘Crisi con la gonna’

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 8, 2011

CGIL CISL e UIL di Siena presentano “Crisi con la gonna”

 LUNEDI 11 APRILE ‘11 – ore 14.30

Auditorium C.I.A. (Cassa Integrazione Assistenza) – via delle arti 4 – Siena

interverranno: Marina Piazza, sociologa, pres. di ‘Gender’, già presidente della Commissione Nazionale Parità, Simonetta Pellegrini, Assessore Amm.ne Prov.le di Siena, Anna Maria Romano, Coord. donne CGIL Toscana, Silvia Russo, Coord. donne CISL Toscana, Sandra Vannini, Coord. donne UIL Toscana e Naz.

 Le lavoratrici con le loro testimonianze

   (Nell’ambito del cartellone provinciale dell’8 marzo 2011 “…In un mondo sordo continuiamo a farci sentire!”)

Argomenti: CGIL, donne |

Incidenti lavoro: CGIL e IRES, un morto su tre è giovane sotto 35 anni

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 7, 2011

Speciale Sicurezza sul lavoro
Incidenti lavoro: CGIL e IRES, un morto su tre è giovane sotto 35 anni
Secondo un’anticipazione della ricerca IRES CGIL che si inserisce negli approfondimenti del sindacato per promuovere le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, i giovani hanno il tasso infortunistico più elevato. Dal 2005 al 2009, sono stati 44.478 i lavoratori sotto i 35 anni che hanno subito un danno permanente a causa di un incidente sul lavoro » Anticipazione della ricerca sulle condizioni di lavoro dei giovani
07/04/2011

da www.cgil.it

Sfruttati e malpagati, in gran parte disoccupati e senza futuro, eppure per i giovani non è tutto. Quelli che lavorano corrono spesso gravi rischi per la loro vita e la loro salute. Secondo una ricerca condotta dall’IRES sulle condizioni di lavoro dei giovani (finanziata dal Ministero del Lavoro e a breve pubblicata dalla casa editrice Ediesse), nel corso del 2009 un infortunio sul lavoro su tre ha coinvolto un lavoratore sotto i 35 anni (secondo dati Inail ne sono stati registrati 262.233 su 790.112) così come un morto sul lavoro su tre (295 su un totale 1.050 vittime) è un giovane.

Nel rapporto dell’istituto di ricerca della CGIL, che si inserisce negli approfondimenti del sindacato per promuovere le ragioni dello sciopero generale del 6 maggio, si rileva come in cinque anni, dal 2005 al 2009, sono stati 44.478 i lavoratori sotto i 35 anni che hanno subito un danno permanente a causa di un incidente sul lavoro, un’invalidità che li segnerà per il resto della loro vita. E proprio i giovani hanno il tasso infortunistico più elevato: secondo le elaborazioni IRES si registrano 5,06 infortuni ogni 100 occupati per chi ha fino a 34 anni e 3,72 infortuni ogni 100 occupati per chi ha più di 34 anni.

Sono dati che forniscono una prospettiva diversa della condizione dei giovani e offrono una motivazione in più per scendere in piazza sabato 9 aprile nelle manifestazioni promosse dal comitato “Il nostro tempo è adesso – La vita non aspetta”. I giovani, infatti, “oltre a dover subire le difficoltà occupazionali e la dequalificazione all’interno dei processi produttivi, vivono anche il dramma poco rilevato delle difficili condizioni di lavoro”, si legge nel rapporto. Condizioni che hanno un impatto negativo sul loro stato di salute, comportando un malessere fisico e psicologico. Difatti, oltre a condurre un’analisi delle statistiche ufficiali, l’IRES ha intervistato mille lavoratori sotto i 35 anni, di diversa tipologia professionale e contrattuale, su tutto il territorio nazionale, tramite un questionario telefonico per far emergere il vissuto reale dei giovani al lavoro.

Fatica e rischio, smascherata retorica di generazione che fugge da lavoro

La ricerca dell’istituto dimostra che “la dura realtà del lavoro per i giovani è la ragione principale della loro elevata esposizione ai fattori di rischio”. Osservando il carico da lavoro dal punto di vista fisico, dalle interviste emerge che molti giovani lavorano sotto sforzo e in situazioni di rischio. “Un dato utile – denuncia l’IRES – anche per smascherare la retorica di una generazione che fugge dal lavoro di fatica”: più di un giovane lavoratore su tre solleva carichi pesanti o fa degli sforzi fisici considerevoli (35,2%) e quasi un giovane lavoratore su cinque ammette di lavorare in condizioni di effettivo pericolo (17,8%). Considerando il carico di lavoro dal punto di vista organizzativo, emerge l’elevata intensità dei ritmi di lavoro che caratterizza sia le mansioni operaie che quelle concettuali: circa due lavoratori su tre hanno un ritmo di lavoro eccessivo (60,5%); la metà del campione lavora con scadenze rigide e strette (il 48%) e non ha abbastanza tempo per svolgere il lavoro (47,5%).

I risultati rilevano anche il ridotto margine di autonomia dei giovani, “nonostante un aumento dei contratti a progetto che invece promettevano di garantirlo”. Due lavoratori su tre non possono scegliere o cambiare i metodi di lavoro (64,2%) e questa costrizione è più forte, paradossalmente, per chi ha un contratto di collaborazione occasionale o a progetto (per il 65,7% di loro) piuttosto che per chi ha un tempo indeterminato (55,4%) svelando come la flessibilità favorisca più la subordinazione che l’autodeterminazione. Del resto, più della metà dei collaboratori non può nemmeno cambiare la velocità con cui svolge il lavoro (55,6%) o scegliere con una certa libertà i turni di lavoro (54,7%) e nemmeno decidere quando prendere i giorni di ferie (57%), due su tre non possono cambiare i metodi di lavoro (65,7%) e nemmeno cambiare l’ordine dei compiti assegnati (70,7%), uno su cinque non può nemmeno prendere una pausa quando ne ha bisogno (20,6%). Dunque, in molti casi, la precarietà si traduce in un vero e proprio sfruttamento. Nel complesso, un lavoratore su quattro non può prendere una pausa quando ritiene di averne bisogno (il 24,8%) e ben più di un lavoratore su tre sostiene di svolgere il lavoro che spetterebbe ad altri (il 41,7%).

Considerando l’espressione delle capacità individuali, la ricerca osserva che i giovani sono scarsamente valorizzati: un lavoratore su cinque dichiara che i meriti e le competenze sono poco o per nulla considerate nel posto in cui lavora (21,2%) e solo il 14,9% sta in un posto che utilizza al meglio le sue capacità. Dentro un presente difficile per molti, anche le prospettive del futuro tendono ad essere nere: per quasi due lavoratori su tre non c’è nessuna possibilità di carriera nel posto in cui lavora (58,2%) e per molti aleggia lo spettro del licenziamento (uno su tre, il 35,4%, è preoccupato di perdere il posto di lavoro).

Questione generazionale riguarda anche reali condizioni lavoro

Questi risultati spingono a riflettere sulla reale situazione del mondo del lavoro giovanile. Nel rapporto si legge: “Da un lato c’è il ricatto occupazionale provocato da una disoccupazione crescente, ormai al 30%, a cui è da aggiungere la forte presenza di lavoro irregolare, un fattore rilevante se consideriamo che dei nostri intervistati il 40% dichiara di avere lavorato senza contratto almeno una volta nella vita. Dall’altro lato, quello ‘fortunato’, di chi ha un lavoro con un contratto, ci sono tanti giovani più o meno qualificati che operano spesso in condizioni di fatica e di pericolo”.

Le difficili condizioni di lavoro emerse, secondo l’IRES, “si traducono in difficili condizioni di salute, tanto da provocare malesseri fisici e psicologici che caratterizzano una parte rilevante delle nuove generazioni”, osserva il rapporto mettendo in risalto che tra i molti problemi di salute rilevati si osserva che quasi un lavoratore su tre soffre di mal di schiena (30,4%) e un lavoratore su tre soffre di stress, depressione, ansia o ha problemi di insonnia (34,4%) a causa del proprio lavoro. La ricerca mostra, inoltre, che la questione generazionale non riguarda solamente il problema noto dell’accesso al lavoro ma anche l’altra faccia della medaglia: le condizioni reali nelle quali il lavoro è svolto.

La sofferenza sul lavoro, si rileva, “è un elemento drammaticamente presente in molte biografie giovanili ed il lavoro è troppo spesso un vettore di sfruttamento piuttosto che uno strumento capace di favorire la tutela, l’emancipazione individuale e la promozione sociale”. Più in generale, l’analisi della condizione giovanile aiuta a comprendere non solo le specificità di una precisa classe generazionale ma anche “le tendenze generali dell’epoca contemporanea, che comportano delle nuove sfide per affermare la dignità dei lavoratori”. Per questo, conclude la ricerca IRES, “è urgente capire come costruire un modello di sviluppo efficace e coerente, che miri ad elevare la qualità complessiva dei processi di lavoro italiani, per coniugare la competitività delle aziende con il benessere dei lavoratori”.

Argomenti: CGIL |

Lavoro: CGIL su dati INPS, segnale inequivocabile di crisi molto grave

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 6, 2011

Lavoro: CGIL su dati INPS, segnale inequivocabile di crisi molto grave
A marzo aumenta la richiesta di CIG del 45,1% rispetto al mese precedente, mentre cala del 15,8% su base annua. Secondo la Confederazione se non si interviene nel 2011 “sarà battuto ogni record nel ricorso alla deroga e aumenterà la possibilità di definitiva espulsione di lavoratori dal processo produttivo”
05/04/2011

da www.cgil.it

“Il segnale inequivocabile di una crisi ancora molto grave che colpisce duramente il lavoro”. E’ il commento del Segretario confederale della CGIL, Fulvio Fammoni, in merito ai dati sulla Cassa integrazione diffusi oggi (5 marzo) dall’INPS che registrano un forte rimbalzo per le richieste di Cassa integrazione a marzo. In questo mese, fa sapere l’INPS, le aziende italiane hanno chiesto 102,5 milioni di ore di Cassa con un aumento del 45,1% rispetto a febbraio 2011 (erano stati chiesti 70,6 milioni di ore) e un calo del 15,8% rispetto a marzo 2010 (121,8 milioni di ore chiesti). Nei primi tre mesi dell’anno, rileva ancora l’istituto nazionale di previdenza, sono state chieste e autorizzate nel complesso 233,4 milioni di ore, contro i 299,7 milioni dell’anno precedente (-22,14%). 

Il dirigente sindacale ricorda come, sulla base delle vertenze e degli accordi aziendali “avevamo detto che la crisi era ancora molto grave e stava ancora colpendo duramente il lavoro”. I dati di marzo delle ore di CIG autorizzate, secondo Fammoni “testimoniano esattamente questo e dovrebbero valere anche per gli ottimisti senza ragione e, soprattutto, senza concreta iniziativa contro la crisi”.

Nello specifico, l’aumento delle richieste di Cassa integrazione registrato dall’INPS a marzo rispetto al mese precedente riguarda tutti e tre gli istituti della CIG: le richieste di Cassa integrazione ordinaria (CIGO) sono passate da 19,2 milioni a febbraio a 23,2 milioni a marzo (+21,1%) mentre le domande  di Cassa integrazione straordinaria (CIGS) sono passate da 29,1 milioni di ore a febbraio a 42,4 milioni a marzo (+45,4%). Ancora più forte,  fa notare l’INPS, è l’incremento di domande di Cassa integrazione in deroga (CIGD) che sono passate da 22,3 milioni di ore a febbraio, a 36,9 milioni a marzo (+65,2%).

“Più di cento milioni di ore autorizzate a marzo, circa trenta milioni di ore in più rispetto a febbraio 2011”, rappresentano per Fammoni “un segnale inequivocabile” ma, secondo il dirigente sindacale è soprattutto il “peggioramento della qualità della CIG richiesta” che deve preoccupare: la differenza delle quantità dei primi tre mesi con l’anno precedente è solo nella CIG ordinaria, cioè spiega Fammoni “sullo strumento che dà certezze di rientro, mentre resta molto alta la straordinaria e vola la CIG in deroga”. Questo vuol dire che “se non si interviene nel 2011 sarà battuto ogni record nel ricorso alla deroga e aumenterà la possibilità di definitiva espulsione di lavoratori dal processo produttivo”.

Per quanto riguarda le domande di disoccupazione, l’INPS registra nel mese di febbraio una frenata. Sono 68mila le richieste di sussidio di disoccupazione con un calo del 12,8% rispetto a febbraio 2010, mentre ancora più forte è il calo delle domande di mobilità che passano – sottolinea l’Istituto di previdenza – da quasi 9mila del febbraio 2010 a meno di 6mila dello stesso mese di quest’anno (-34,1%).

Anche il dato sulla disoccupazione, avverte il dirigente sindacale, “dovrebbe essere letto oltre il puro riferimento numerico”, spiegando che al terzo anno di crisi e per la qualità delle nuove assunzioni “è sensibilmente calato il numero dei lavoratori che possono raggiungere i requisiti per richiedere la indennità di disoccupazione”. Ecco perché, fa sapere il sindacalista, oltre alle richieste già avanzate per interventi fiscali; conferma ed estensione delle tutele soprattutto ai giovani e ai precari e alle proposte per favorire lo sviluppo che, ricorda Fammoni “saranno al centro dello sciopero generale del 6 maggio”. La CGIL ha scritto, nei giorni scorsi, una lettera al Ministro del Lavoro sugli ammortizzatori in deroga dove si chiedeva, conclude Fammoni “che venisse formalmente ribadita, come previsto nell’intesa raggiunta in Conferenza unificata fra Governo e Regioni il 16 dicembre scorso, la proroga fino a giugno dell’attuale meccanismo, fino all’entrata in vigore del nuovo accordo”.

Argomenti: CGIL |

25 aprile 2011 – 66° anniversario della Liberazione

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 4, 2011

Argomenti: CGIL |

Camusso, sciopero generale 6 maggio contro disastro economico

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 1, 2011

Camusso, sciopero generale 6 maggio contro disastro economico
Di fronte all’aumentare delle disuguaglianze sociali, lo sciopero generale proclamato dalla Confederazione diventa, secondo la leader della CGIL Susanna Camusso, uno strumento necessario per conquistare una “giustizia sociale” e per “richiamare politica e classe dirigente sul fatto che il Paese ha bisogno di scelte e la prima scelta è il lavoro”
01/04/2011

Le ragioni che hanno portato la CGIL ha proclamare lo Sciopero Generale per il 6 maggio, secondo la leader del sindacato di Corso d’Italia, Susanna Camusso “diventano di giorno, in giorno sempre più chiare”.

Nel Paese continuano ad aumentare le disuguaglianze sociali, aumenta l’inflazione, che senza crescita, avvisa Camusso, “rappresenta un nuovo pericolo”. Inoltre, di fronte ai problemi energetici il Governo “preferisce mettere il piano nel cassetto invece di pensarne un altro”. “Questo è un Paese – dichiara Camusso partecipando al 120° anniversario della Camera del Lavoro di Piacenza – davvero sull’orlo del disastro economico e nulla si continua a fare”.

In questa delicata situazione economica e politica che sta attraversando l’Italia lo sciopero generale della CGIL diviene uno strumento necessario per rivendicare una “giustizia sociale” a partire dal fisco e dal lavoro. “Insistiamo nel dire – ha ribadito Camusso – che il nostro sciopero è un gesto di responsabilità per richiamare politica e classe dirigente sul fatto che il Paese ha bisogno di scelte e la prima scelta è il lavoro”.

A proposito dei dissapori con CISL e UIL, Camusso ha risposto che “la CGIL le sue scelte le fa democraticamente, non c’è una CGIL maggioritaria ed una minoritaria. A CISL e UIL vorrei dire che in una stagione così difficile bisognerebbe stare con i lavoratori e non rassegnarsi alle scelte del Governo”.

Sull’emergenza profughi provenienti dalla Libia, il Segretario Generale, ha dichiarato “come tutte le emergenze, quando sono lungamente annunciate, diventa un pò complicato considerarle tali”. “Forse invece che urlare per tanti giorni – ha detto – si sarebbe dovuto attrezzare significativamente un percorso di accoglienza e anche una discussione con l’Unione Europea non fatta di contrapposizioni come quella che abbiamo visto. Poi c’è un modo di affrontare questa emergenza che noi non condividiamo, nel senso che da un lato viene usata per costruire insicurezza e paura nella popolazioni e non va bene, dall’altro si continua a insistere sull’idea di clandestinità per creare panico mentre invece si sa benissimo che quando Paesi sono attraversati da vicende così importanti come quelle che ci sono state nel Sud del Mediterraneo i fenomeni migratori sono una conseguenza diretta”.

Argomenti: CGIL |

Tabelle paga calzature aprile 2011

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 1, 2011

Calzature_04_11

Argomenti: CGIL, FILTEA, servizi, tabelle paga, Ufficio vertenze |

Tabelle paga lapidei industria aprile 2011

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Aprile 1, 2011

Lapidei Industria_04_11

Argomenti: CGIL, FILLEA, servizi, tabelle paga, Ufficio vertenze |

Fisco: CGIL, da imposta grandi ricchezze possibili 18 mld

By Ufficio Stampa CGIL Siena | Marzo 28, 2011

Fisco: CGIL, da imposta grandi ricchezze possibili 18 mld
Speciale CGIL sul fisco, uno dei temi che sarà al centro dello Sciopero Generale del 6 maggio. Misura oltre gli 800mila euro, esentati 95% italiani
26/03/2011

Una tassa ordinaria sulle Grandi Ricchezze ispirata al modello francese, con una previsione di imposta mediamente dell’1,0% a carico delle famiglie con una ricchezza complessiva sopra gli 800mila euro potrebbe generare un gettito di circa 18 miliardi di euro l’anno. Una tassa che colpirebbe solo il 5% più ricco e ricchissimo della popolazione italiana e che non toccherebbe nessun altro ceto e reddito. Sarebbero infatti soggetti a tale imposta tutte le famiglie la cui ricchezza complessiva, mobiliare e immobiliare, superi gli 800mila euro l’anno al netto dei mutui e delle altre passività finanziarie. Allo stesso tempo, ne sarebbero esclusi tutti coloro che, pur essendo proprietari di una o più abitazioni, nonché depositi in conto corrente, titoli di Stato o altre obbligazioni, non raggiungano il limite indicato.

E’ questa la proposta rilanciata dalla CGIL, sulla base di un apposito studio del Dipartimento Politiche economiche messo a punto in vista dello sciopero generale del 6 maggio prossimo e all’interno del suo pacchetto sulle tasse che si basa su un progetto di riforma fiscale per un fisco giusto, attraverso una vera lotta all’evasione (perché oggi l’evasione ogni anno costa 3.000 euro in più ai redditi “fissi” e, in generale, ad ogni contribuente onesto); per un fisco più leggero per le famiglie di lavoratori e pensionati che porti mediamente 100 euro in più in ogni busta paga, alleggerendo quel peso che da anni grava ingiustamente sulle spalle di queste famiglie; un fisco più pesante per i redditi alla radice degli squilibri e delle debolezze del paese: transazioni speculative, rendite e grandi ricchezze.

Molto consistenti le risorse che si potrebbero ottenere annualmente solo dalla nuova tassa sulle grandi ricchezze (in Francia la chiamano la tassa sulle fortune). Dai calcoli effettuati dal Dipartimento Politiche Economiche della CGIL nazionale, le simulazioni comporterebbero un gettito potenziale, derivante dall’applicazione di un’Imposta sulle Grandi Ricchezze (IGR), di circa 18 miliardi di euro l’anno. Secondo lo studio del sindacato, infatti, se si applica un’aliquota media dell’1,0% sulla ricchezza netta totale, superiore agli 800mila euro complessivi, al netto delle detrazioni, detenuta da circa il 5% delle famiglie più ricche d’Italia, la tassa comporterebbe un gettito di 17,9 miliardi di euro annui; e con anche solo una aliquota media dello 0,55% (primo scaglione francese) sulla ricchezza netta totale, superiore agli 800mila euro complessivi, al netto delle detrazioni, detenuta da circa il 5% delle famiglie più ricche d’Italia, comporterebbe un gettito di 9,8 miliardi di euro annui.

Prendendo come riferimento la definizione di ricchezza netta della Banca d’Italia, definita dalla somma delle attività reali (immobili, aziende e oggetti di valore), delle attività finanziarie (depositi, titoli di Stato, azioni, etc.) al netto delle passività finanziarie (mutui e altri debiti), è possibile calcolare la nuova tassa con delle simulazioni. Ecco dunque come si calcolerebbe l’IGR, l’imposta grandi ricchezze. Facciamo alcuni esempi (prendendo come realtà di riferimento le rilevazioni sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia):

1. Una famiglia di lavoratori dipendenti che – a prescindere dal reddito imponibile ai fini IRPEF – è proprietaria di una casa dove abita con un valore di 130mila euro e detiene 10.000 euro quasi tutti in depositi bancari, con solo un 10% in titoli di Stato, obbligazioni e fondi comuni di investimento, per un totale di 140.000 euro di ricchezza netta non sarebbe soggetto all’Imposta sulle Grandi ricchezze e non pagherebbe niente di più.

2. Una famiglia di pensionati che – a prescindere dal reddito imponibile ai fini IRPEF – è proprietaria di una casa dove abita con un valore di 500mila euro e detiene 250.000 euro in depositi bancari, titoli di Stato e obbligazioni, per un totale di 550.000 euro di ricchezza netta non sarebbe soggetto all’Imposta sulle Grandi ricchezze e non pagherebbe niente di più.

3. Una famiglia di lavoratori dipendenti che – a prescindere dal reddito imponibile ai fini IRPEF – è proprietaria di una casa dove abita con un valore di 450mila euro, un’altra casa con un valore di 250.000 euro ma che paga un mutuo su questa di 20 anni (per un montante di 150.000) e detiene anche 100.000 euro in depositi bancari, titoli di Stato, obbligazioni, azioni, partecipazioni, per un totale di 650.000 euro di ricchezza netta non sarebbe soggetto all’Imposta sulle Grandi ricchezze e non pagherebbe niente di più.

4. Una famiglia di imprenditori e liberi professionisti che – a prescindere dal reddito imponibile ai fini IRPEF – è proprietario di una casa dove abita con un valore di 500mila euro, un’altra casa con un valore di 300.000 euro e detiene 100.000 euro in depositi bancari, titoli di Stato e obbligazioni, azioni e fondi comuni di investimento, per un totale di 900.000 euro di ricchezza netta, pagherebbe:

IGR = 900.000 x 1,0% – 8.000 euro (detrazione fissa data dalla soglia) = 1.000 euro

Come appare evidente, a subire un aumento del prelievo fiscale non sarebbe il 95% delle famiglie italiane ma solo i ricchissimi e gli ultraricchi, ossia appunto solo un 5% delle famiglie italiane.

La tassa sulla grandi ricchezze, oltre a creare ingenti risorse per la collettività (pari ogni anno a una finanziaria di medie dimensioni), avrebbe anche un effetto in termini di equità in un paese sempre più diseguale. Ogni indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane rileva infatti, dal 1995 ad oggi, che il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% dell’intera ricchezza netta delle famiglie italiane, a fronte del 50% della popolazione (la metà più povera) che ne detiene meno del 10%. (Vedi il documento nel link). In pratica, circa 2,4 milioni di famiglie posseggono mediamente quasi 1.600.000 euro di patrimonio immobiliare e finanziario netto, a fronte di circa 12 milioni di famiglie che posseggono mediamente meno di 70.000 euro. Se si osserva anche solo una parte delle famiglie più ricche, definite “ricchissime”, la ricchezza netta del 5% più ricco d’Italia è mediamente circa 2 milioni e 300mila euro. Così come quella dell’1%
delle famiglie più ricche, le “ultraricche”, è pari a circa 5 milioni e 300mila euro. Con la tassa sulle grandi ricchezze, si chiederebbe un contributo davvero minimo ai nostri super ricchi, visto che le simulazioni ci danno cifre quasi irrisorie di 1000 (mille) euro l’anno. Si potrebbe dire che neppure i super ricchi piangerebbero.

Argomenti: CGIL |

« Articoli Precedenti Articoli Successivi »