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Intervista di Susanna Camusso al Corriere della Sera

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Marzo 19, 2015

Camusso_09Intervista di Susanna Camusso al Corriere della Sera

da www.cgil.it – 18/03/2015

Camusso, il sindacato fa i contratti, la politica è altra cosa

«II problema non è fondare una cosa e chiamarla partito oppure no. Si può chiamare movimento, associazione delle associazioni, si può chiamare anche birillo. Ma se si basa su un programma politico generale, e si va oltre la rappresentanza del mondo del lavoro, diventa oggettivamente una formazione di ordine politico. E questo, come Maurizio sa, non fa bene al sindacato e quindi nemmeno ai lavoratori. Susanna Camusso è a Trieste. Dice che c’è molto vento ma non è una metafora sindacale, solo l’osservazione di un’appassionata di mare. E infatti alle fine di questa intervista proprio di mare parlerà.

Segretario, perché non va bene se la coalizione sociale del segretario della Fiom, Maurizio Landini, diventa una formazione politica?
«Intendiamoci: il sindacato è per forza di cose anche un soggetto politico. Ma fa politica sul lavoro e partendo dagli strumenti che gli sono propri, come la contrattazione. Rappresenta i lavoratori, insomma, non i cittadini in senso lato: e la sua forza sta proprio in questa parzialità. La Cgil rivendica sempre la centralità del lavoro ed è molto gelosa della propria autonomia. Non era forse la Fiom a rivendicare addirittura l’indipendenza?».

Anche la coalizione sociale parla di lavoro.
«Non solo, direi. Mi sembra orientata verso un programma generale, fatto di diversi temi, e guarda a diversi referenti sociali. E poi, anche sul lavoro, bisogna vedere cosa fa».Cosa intende? «Viviamo una stagione in cui c’è una straordinaria deficienza della politica rispetto ai temi del lavoro. Ed è chiaro, quindi, che su questi ci sia bisogno di organizzare una domanda alla politica. Ma proprio perché la politica non risponde, il sindacato deve guardarsi dall’idea di sostituirla».

Perché?
«Altrimenti viene meno la rappresentanza del lavoro, i lavoratori diventano ancora più indifesi. E visto il momento non mi pare proprio il caso. Questo non vuol dire che non si possano indicare dei temi sui quali costruire alleanze. Per carità, questo lo facciamo ogni giorno. Ad esempio abbiamo appena incontrato il governo con l’alleanza contro la povertà di cui facciamo parte con Cisl, Uil e altre associazioni».E dove è la differenza tra un’iniziativa come questa e la coalizione sociale di Landini? «Ad esempio, se dobbiamo firmare un accordo lo discutiamo con i lavoratori non con altri soggetti che non sono rappresentanti del lavoro. È questa l’ambiguità che abbiamo chiesto a Landini di sciogliere».

Lui ha detto che sarebbe utile se pure la Cgil si attivasse per la coalizione sociale.
«Su temi come questi non si risponde con le battute. Gli abbiamo proposto di condividere un documento che elimini ogni residuo dubbio».

E lui si è detto disponibile?
«Sarebbe utile per tutti».

Senza chiarimento ritirerete il sostegno alla manifestazione Fiom del 28 marzo?
«No, le due cose non vanno insieme. La Cgil è sempre e comunque con le sue categorie e i suoi lavoratori. Ma Landini deve sapere che quella non può diventare la manifestazione della coalizione sociale».

E se alla fine lo diventasse?
«Sarebbe un grande peccato, specie per i lavoratori».

C’è chi pensa che Landini entrerà in politica e chi pensa voglia scalare la Cgil «da sinistra». Lei che idea si è fatta? «Che si tratta di un dibattito non utile al cambiamento della Cgil e dannoso per i lavoratori e l’unità del mondo del lavoro, oggi più che mai necessaria, visto l’attacco ai diritti».

Sul Jobs act, lei è critica come Landini. Condivide l’idea di un referendum abrogativo? «La cosa fondamentale è costruire una proposta per un nuovo statuto dei lavoratori che sia inclusivo, superi la divisione tra le tante forme contrattuali e riconosca diritti universali anche al lavoro autonomo».

Ma il referendum? «Non è la nostra priorità, anche perché i referendum sono una scelta difficile per il sindacato. Poi certo, se dovessimo capire che sulla proposta di un nuovo statuto non c’è attenzione anche il referendum potrebbe diventare una strada. In quel caso, però, si è deciso che si consulteranno gli iscritti».

A proposito di iscritti. Come sarà eletto, nel 2018, il segretario Cgil? Con il metodo attuale, un congresso che somiglia ad una cooptazione, oppure con regole nuove? «La discussione è aperta, io penso si debba innovare sul coinvolgimento della base senza cedere a forme liquide, gassose o plebiscitarie».

Provo a tradurre: niente primarie come nei partiti, niente elezione diretta da parte dei delegati in azienda?
«Sì, niente primarie. Quella dei delegati è un’ipotesi ma lascerebbe fuori le tante categorie che non hanno possibilità di eleggerli ed escluderebbe i precari che per definizione non hanno delegati. E non sarebbe giusto. Ci lavoreremo. E troveremo modalità che non lascino la scelta nelle mani solo del gruppo dirigente ristretto».

Landini non sarebbe il primo sindacalista a «scendere in campo». Cofferati, Epifani… Al passaggio in politica è contraria anche dopo, per chi il sindacato l’ha lasciato? «Sono sempre rispettosa delle scelte personali. Però credo che oggi la distinzione sia più importante che mai: non dobbiamo costruire l’idea, sbagliata, che fare politica e fare sindacato siano la stessa cosa».

Lei non farà politica, quindi, dopo la fine del suo mandato che scade nel 2018? «Guardi, ho un’idea ancora più radicale. Credo ci sia un tempo per tutti e, dopo una vita intensa, uno si possa dedicare alle altre cose che ama davvero».

Quali sono per lei?
«La lettura, ad esempio, e il mare che a me piace molto. Se non si va mai fuori dai piedi si diventa un gigantesco tappo per quelli che vengono dopo. Magari si parla pure di rinnovamento ma poi nei fatti si bloccano i più giovani».

Andrà in pensione, quindi? «Nel 2018 non ci potrei andare, prima devo cambiare la legge Fomero (ride, ndr) che naturalmente va cambiata non per Susanna Camusso ma per gli sconquassi sociali che ha fatto e continua a fare. Poi, sì. Credo che ognuno a un certo punto debba concludere il suo percorso lavorativo. Altrimenti anche la Cgil rischia di diventare ostaggio di una generazione».

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